La Rubrica online “Piazza Navona” ha letto per voi “Una storia di quartiere” di Antonio Infuso (Intrecci Edizioni). Torino 1969, un bambino del sud e la sua crescita tra i calci a un pallone, la malavita e la Storia del suo tempo. E non dimenticate l'”Incontro con l’Autore”!
La trama
Torino, 1969. Amedeo è un ragazzino di dodici anni di origini siciliane trasferitosi al nord con la famiglia. È un portento con il pallone, innamorato perso della dolce Silvia (e di Loretta Goggi) e non tarda a diventare amico intimo di don Pino, il boss – anch’esso di origini sicule – del quartiere. Amedeo ha tanti sogni nel cassetto, soprattutto uno: fare il calciatore. Sarà proprio la sua passione per il calcio e il suo naturale talento con il pallone a fargli conoscere da vicino i meccanismi della malavita e i suoi temuti rappresentanti del posto. Le giornate di Amedeo, così, scorrono con i guai e le avventure di tutti giorni mentre la Storia compie il suo percorso: la strage di Piazza Fontana, lo sbarco sulla luna, Woodstock, la musica rock, gli sceneggiati in tv… Sono tutti questi avvenimenti, del quartiere e della Storia, che permettono ad Amedeo di crescere, di maturare, di creare le proprie idee, di stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, di capire la differenza tra Stato, Chiesa e Comunisti (che non mangiano i bambini!). Di tutto questo e tanto altro racconta Una storia di quartiere di Antonio Infuso, un tenero romanzo che ci riporta bambini e ci fa crescere mano nella mano con il suo protagonista. Un uomo dei nostri tempi.
Sul libro
Dopo i fortunati romanzi gialli Indagine di sola andata, Suicidi al sorgere del sole e La notte delle anime innocenti che hanno per protagonista il commissario torinese Stefano Vega, lo scrittore Antonio Infuso tralascia per un momento in genere giallo-noir per dedicarsi al romanzo di formazione dal titolo Una storia di quartiere edito da Intrecci Edizioni che lo ha inserito nella Collana “Enne”.
Antonio Infuso non delude. Una storia di quartiere è un tenero romanzo il cui protagonista, Amedeo, è un dodicenne di origini siciliane trapiantato a Torino con la sua famiglia. Ed è proprio con gli occhi di questo “ometto” che il quartiere della Torino del 1969 viene vista e vissuta. I commercianti, gli amici, gli adulti, i vicini di casa, l’amore, la televisione, la radio, la musica, le scoperte, i boss della malavita del posto… Tutto viene visto e raccontato attraverso lo sguardo attento e acuto di questo dodicenne amante del calcio e innamorato della piccola Silvia e di Loretta Goggi, la protagonista dello sceneggiato tv di grande successo La freccia nera.
Così facendo l’Autore conduce il suo Lettore ideale e di tutte le età in un duplice viaggio: nella vita e nelle (dis)avventure del dodicenne (e mezzo!) Amedeo e nella Storia dell’anno 1969. In tal modo alla microstoria del ragazzino si affiancano e si sovrappongono gli eventi che hanno segnato quella indimenticabile e emozionante annata: dalla conquista della Luna al concerto di Woodstock, dalla strage di Piazza Fontana ai programmi radiofonici e televisivi di quell’anno, da Hit Parade a Gran Varietà passando per Tutto il calcio minuto per minuto e La famiglia Benvenuti, dallo sport con la vittoria di Eddy Merckx del Tour De France al cinema con il film del genere western all’italiana diretto da Gianfranco Parolini dal titolo Ehi amico… c’è Sabata. Hai chiuso! Nemmeno le hit del momento vengono dimenticate: Storia d’amore di Adriano Celentano, Soli si muore di Patrick Samson, Quelli della mia età di Françoise Hardy, Lo straniero di Moustaki…
Tutto il 1969 è raccontato da Antonio Infuso e dal piccolo Amedeo. Un incontro letterario, ideale e generazionale assai fortunato. Sì perché, l’Autore è come se si lasciasse letteralmente guidare dall’innocenza, dalla sana incoscienza, dallo spirito di avventura, dai primi palpiti d’amore, dalle ribellioni del piccolo protagonista. Infuso non interviene, non disturba la narrazione ma ne diviene strumento di racconto, attento, premuroso, vigile, affettuoso, paterno e – allo stesso tempo – bambino egli stesso. Bambino di ieri e adulto di oggi. Proprio come Amedeo.
Una storia di periferia, inoltre, diviene un ottimo e funzionale strumento anche di memoria, dell’Italia e del mondo di ieri, carichi di eventi, volti, fatti, canzoni… che hanno fatto la Storia, che hanno accompagnato la nostra crescita e contribuito a costruire i nostri ricordi.
Questa è la vera forza di Una storia di quartiere: la semplicità e la purezza d’animo che rendono il nostro protagonista un amico, un compagno di banco e di marachelle, un complice con cui crescere, scambiare le figurine e due tiri al pallone. L’umanità, infatti, è un’altra protagonista di questo breve romanzo che, pagina dopo pagina, si fa sempre più palpabile.
Per tutto questo Antonio Infuso merita un (ap)plauso: per aver creduto nel suo bambino e nel suo Amedeo, per aver avuto il coraggio di dirigersi in un’altra direzione diversa dalla sua comfort zone dei romanzi gialli. L’”esperimento” è perfettamente riuscito e speriamo di poter vedere ancora crescere Amedeo e scoprire le sue prossime avventure a spasso nel tempo.
Incontro con l’Autore
Come è avvenuto il suo primo incontro con la scrittura?
Ho fatto il giornalista per oltre un trentennio, quindi una certa confidenza con la scrittura era ormai radicata. Avevo in mente di scrivere un romanzo da molti ma non mi sentivo mai pronto e all’altezza. Poi, nel 2012, è scattato qualcosa dentro di me. Mi sono deciso e ho scritto Indagine di sola andata, con protagonista il commissario Vega. Ritenevo sarebbe stato il primo e ultimo libro della mia vita. Invece le vendite sono andate bene e ho scritto altri due romanzi con protagonista il poliziotto torinese.
Come è nato il progetto editoriale di Una storia di quartiere?
È un progetto che avevo in testa da tre anni, almeno. Dapprima, con Intrecci Edizioni ho pubblicato un racconto breve con protagonista Amedeo. È piaciuto ed è divenuto e un romanzo breve. È il mio atto d’amore nei confronti dell’adolescenza, della mia città e di una stagione complessa ma ricca di speranze, di futuro e intrisa di valori autentici e comuni. In qualche modo è anche un nostalgico commiato dall’età dell’innocenza.
Quanto e cosa c’è di Antonio Infuso nel piccolo Amedeo, il protagonista di Una storia di quartiere?
Ovviamente, c’è qualcosa di me nel dodicenne Amedeo. Quando si pensa al passato tutti diventiamo scrittori. Il contesto sociale è autentico, così come alcuni personaggi. Non è propriamente autobiografico. La storia è inventata ma nell’aneddotica ci sono fatti che ho vissuto o di cui sono stato testimone. Di mio c’è la curiosità per le cose del mondo, il rispetto per gli adulti, una forte tendenza all’avventura, la passione per il calcio e quella, ancora ai primi vagiti, per la musica, il cinema e la lettura.
La sua Torino quanto e come influenza la sua scrittura, la costruzione dei suoi personaggi e delle sue storie?
Torino è protagonista di tutti i miei romanzi, fin dalle copertina. È una città affascinante, magica, romantica, dolente e contraddittoria. Dai salotti della borghesia sabauda alle periferie operaie. In città sono nati il cinema, l’auto, la televisione, la telefonia, la moda. Torino ha vissuto la trasformazione dal settore primario a quello secondario e poi al terziario e ora affronta l’epoca del digitale e del turismo. È stata in prima fila nelle lotte studentesche e operaie. Ha vissuto il trauma degli anni di piombo e della deindustrializzazione. Ma è perfetta per le ambientazioni noir, con angoli e scorci unici, locali, viali, parchi, portici, cortili. A volte sono i suoi luoghi a fornirmi sviluppi per la trama.
Dall’ideazione al “visto si stampi”: in che modo organizza il suo lavoro e la costruzione della storia che intende regalare al suo pubblico di lettori?
Tendo a una scrittura istintiva, spesso dettata dal volere dei personaggi con i quali occorre confrontarsi. Sovente ho già in mente alcuni finali mentre la trama si sviluppa come la vita. Quando sono in fase creativa ascolto anche i discorsi delle persone al bar, al mercato, sulla metro e colgo degli spunti. Le parti più rognose sono l’editing e le correzioni di bozze. Un mezzo supplizio.
Lei ha studiato Scienze della Formazione – Dams, indirizzo Cinema. Nella sua scrittura e nella struttura delle sua storie quanto è presente la componente e la sua impostazione cinematografica?
Influisce moltissimo, lo devo ammettere. Sia per quanto riguarda i dialoghi che sono realisti e incalzanti, quasi alla Elmore Leonard; e sia per quanto concerne il senso dell’azione e la sua commistione con il realismo quotidiano. Quando scrivo praticamente, nella testa, giro un film.
Lei è anche il creatore del commissario Vega. Quando sarà possibile leggere delle sue prossime indagini?
Ho scritto tre romanzi con protagonista il commissario Vega e a volte mi sento un po’ prigioniero del personaggio. È anche una della ragioni per cui ho scritto Un storia di quartiere. Volevo uscire momentaneamente dal mondo di Vega. Comunque, al quarto della serie ci sto pensando ma non sono in grado di fornire scadenze.
A proposito del commissario Vega: cosa può raccontarci di questo personaggio e della sua creazione?
Vega è un personaggio piuttosto guascone e accattivante che tende a sconfinare dalla legge ma che possiede un grande senso di giustizia e tende all’altruismo. È melomane, suona il pianoforte, è propenso, talvolta, all’avventura con le donne, non manca di ironia, spesso amara altre provocatoria o divertente. Soffre la gerarchia e entra facilmente in conflitto con il potere. Quando il gioco si fa sporco riesce a dare il meglio di sé e non molla l’osso a costo della vita. Una sorta di giustiziere con un’ottima mira. In fondo, in un investigatore si ritrova empaticamente la coscienza collettiva dei lettori che si aspettano determinati comportamenti dell’eroe e si immedesimano. Comunque, chi scrive deve essere al servizio di chi la Storia la subisce e non di chi la determina avendone il potere. Credo nella funzione sociale dell’arte.
Dalle tinte noir del commissario Vega al romanzo Una storia di quartiere passando per i suoi racconti: in quale genere e stile sente di essere più a suo agio? E perché?
Forse il genere più adatto a me è il noir perché scandaglia le coscienze dei protagonisti e della società, come si vede in particolare il noir mediterraneo. Però tengo molto a Una storia di quartiere, per ovvi motivi nostalgici e sentimentali.
Quali sono il suo rapporto con la temuta “pagina bianca” e il suo approccio ai diversi stili letterari di cui si occupa?
Sinceramente non ho mai avuto il trauma della pagina bianca. Quando parto con la scrittura vado alla velocità della luce. Per me scrivere è come fare un giro sull’ottovolante o a Disneyland. Adrenalina e divertimento. Il mio approccio tendenzialmente non muta: entro nella storia e prendo il volo.
Quali sono gli Autori e le opere che hanno formato il suo essere scrittore e lettore?
Beh, Raymond Chandler, Cesare Pavese, Charles Dickens, Jules Verne, Joseph Roth e George Simenon stanno alla base delle mia formazione come lettore e quindi anche come futuro scrittore. Ma devo molto al cinema: Lang, Hard Boiled, la produzione americana classica, Neorealismo, Nouovelle Vogue, Western, fino a Tarantino e al cinema asiatico e mediorientale.
Quali sono i suoi prossimi progetti e impegni editoriali?
A parte l’eventuale quarto Vega, vorrei tentare una sortita nella fantascienza post-apocalittica. Però è un progetto complesso e che richiede molte ricerche. Ma, in fondo, non bisogna mai dimenticare che quando scrivi un libro c’è sempre una fase di ricerca che porta via molto tempo e che devi curare. Se sbagli qualcosa in lettori se ne accorgono.