Letto per voi… “Un viaggio chiamato psicoterapia” di Alessandra Parentela e Michela Longo

La Rubrica online “Piazza Navona” quest’oggi vi propone la lettura del libro “Un viaggio chiamato psicoterapia” di Alessandra Parentela e Michela Longo (CTL Livorno). La vera storia e il significato profondo di un percorso interiore. E non perdete l’Incontro con le Autrici!

La trama

L’atteggiamento di base del terapeuta verso un paziente deve essere di sollecitudine, accettazione, spontaneità ed empatia. Niente, nessuna considerazione tecnica, ha la precedenza su questo atteggiamento.
Irvin Yalom

Alessandra Parentela e Michela Longo, “Un viaggio chiamato psicoterapia” (CTL Editore Livorno, 2019)

In Un viaggio chiamato psicoterapia una psicoterapeuta e la sua paziente – rispettivamente la Dottoressa (“Doc”) Alessandra Parentela e Michela Longo – raccontano, ognuna dal suo punto di vista, la nascita, lo sviluppo, la qualità, l’evolversi del loro rapporto e della loro relazione all’interno del viaggio e del percorso psicoterapeutico intrapreso. Il libro è organizzato in tre parti: Voce all’esperto di viaggi unici dove la Dottoressa Parentela ci introduce alla psicoterapia illustrandone i principi base, alcuni suoi meccanismi, la costruzione della relazione medico/paziente, gli obiettivi e l’importanza del proprio vissuto e delle emozioni anche rispetto a disturbi ormai così diffusi e comuni come l’ansia; ne In viaggio con te Doc e Si torna a casa… non più soli, invece, la terapia viene affrontata e raccontata dal punto di vista della paziente ripercorrendo le tappe fondamentali del suo percorso interiore e riportando paure, timori, pensieri, ricordi, stati d’ansia, conflitti interiori sino al raggiungimento dell’obiettivo finale: la (auto)consapevolezza di sé, la capacità di camminare sulle proprie gambe e la possibilità, nonché la libertà, di esprimere il proprio essere nella sua più completa essenza.

Sul libro

Nel settembre 2019 la Casa Editrice CTL Livorno pubblica nella Collana “Psiche e benessere” il libro Un viaggio chiamato psicoterapia scritto a quattro mani da Alessandra Parentela e Michela Longo che ottiene il Premio Miglior opera Prima al Festival della Cultura di Catania Etna Book 2020.

CTL Editore Livorno

Due donne. Una psicologa e la sua paziente raccontano, ognuna dal proprio punto di vista e con estrema semplicità e naturalezza, come si svolge, cosa caratterizza e come si vive un percorso terapeutico.
Queste, infatti, sono le importanti parole riportate nella prefazione che introduce al volume:
Questo libro è per tutti. Perché tutti dovrebbero interrogarsi su chi sono, per darsi l’opportunità di vivere l’unica vita che hanno nel miglior modo possibile. E il modo migliore lo si conquista soprattutto con la consapevolezza di sé.
Un viaggio chiamato psicoterapia, infatti, non è un saggio di psicologia né un compendio della materia. È molto di più. È uno strumento che permette al Lettore di capire e di capirsi, di venire in contatto con il suo io più profondo e di comprendere il senso e il significato di questo incredibile viaggio che si compie all’interno di sé stessi. E il valore di questo è volume è riposto proprio in questo aspetto: la Dottoressa Alessandra Parentela e la sua paziente Michela Longo mettono a disposizione degli altri la propria esperienza – professionale e umana – diretta, senza filtri affinché anche “l’altro” possa avere un riscontro dall’esterno, sentirsi meno solo e isolato.

Festival della Cultura di Catania Etna Book 2020

È noto che molte persone preferiscono, per vergogna o per timore di essere giudicate, non affrontare una terapia continuando a (man)tenere in sé forti disagi, dolori ed emozioni inespressi. Ecco, Un viaggio chiamato psicoterapia offre a chiunque abbia anche il coraggio e la voglia l’eventualità di intraprendere questo percorso – difficile e spesso controverso – e, quindi, di accettare la possibilità di essere sé stessi. Libera(mente). Total(mente).
Proprio per questo il volume, attraverso le due voci femminili, affronta un aspetto fondamentale della terapia: la relazione tra paziente e medico. Quest’ultimo, infatti, deve essere così abile e così pronto ad evitare che venga a presentarsi ciò che Freud ha definito transfert ovvero, come è riportato nel dizionario Treccani, “il processo di trasposizione inconsapevole, durante l’analisi e sulla persona dell’analista, di sentimenti e di emozioni che il soggetto ha avvertito in passato nei riguardi di persone importanti della sua infanzia”.

Simbolo della Psicologia

Ciò rischierebbe di compromettere il lavoro terapeutico e innescherebbe un meccanismo in cui i ruoli non siano più ben definiti arrivando a percepire il nostro medico, in termini molto semplicistici, come un “amico” e “confidente”. Al nostro terapeuta parliamo e raccontiamo di noi creando un’intesa e un rapporto di collaborazione e di lavoro comune per costruire, elaborare e curare ferite, emozioni, stati d’animo, paure, ansie…
Ancora una volta prendiamo a prestito le parole di Irvin Yalom (cui la Dottoressa Parentela fa riferimento per il suo metodo terapeutico):

Sebbene siano in vigore molte espressioni per definire il rapporto terapeutico (paziente/terapeuta, cliente/consulente, analizzando/analista, cliente/facilitatore, o il più recente – e di gran lunga il più ripugnante – utente/fornitore), io preferisco pensare ai miei pazienti e a me stesso come a compagni di viaggio, un termine che abolisce le distinzioni tra «loro» (coloro che soffrono) e «noi» (i guaritori).

Irvin Yalom, scrittore, psichiatra e docente statunitense

Questa è esattamente la trama, la relazione che viene a instaurarsi tra le due protagoniste di Un viaggio chiamato psicoterapia le quali, attraverso questo volume che si sente essere nato dalla voglia di testimoniare e di raccontare un’esperienza, un’emozione e il lavoro fatto per conquistarle e affermarle in quanto tali, hanno certamente aperto una breccia in quel muro fatto di vergogna e disagio che non permette di accedere e di godere di questa unica possibilità che ci viene offerta. Inoltre, resta una traccia palpabile di verità, di un’esperienza raccontata da un duplice e illuminante punto di vista reso con una semplicità e un’umanità disarmanti. Ma non solo.

“Inside Out” di Pete Docter, 2015

Un viaggio chiamato psicoterapia è anche l’illustrazione e la spiegazione aperta a tutti di cosa significhi veramente la psicoterapia attraverso esempi semplici e pratici, a partire dal meraviglioso, illuminante e lungimirante cartone animato Disney Pixar Inside Out (Pete Docter, 2015). Rabbia, Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto. Le nostre emozioni fondamentali (inter)connesse tra loro. L’una non può esistere senza l’altra. Senza Gioia non sapremmo cosa sia la Tristezza. E viceversa. Siamo tutto questo…

Incontro con le Autrici

Dottoressa Parentela, come è nata la sua passione per la psicologia e quale “metodo di lavoro” adotta con i suoi pazienti?
L’amore per la psicologia nasce sui banchi di scuola alle superiori, un amore che nasce grazie alla filosofia che mi ha da subito appassionato. La psicologia era una branca della filosofia e non dimentichiamo che i primi psicologi sono stati proprio i filosofi che si interrogavano sul senso della vita. Il metodo terapeutico che utilizzo è ad orientamento umanistico-esistenziale dove, come dice Carl Rogersin ogni organismo, uomo compreso, c’è un flusso costante teso alla realizzazione costruttiva delle sue possibilità intrinseche, una tendenza naturale alla crescita. 

Alessandra Parentela e Michela Longo

Io faccio sempre riferimento alle teorie filosofiche dell’umanesimo e dell’esistenzialismo in cui la persona si ritrova al centro della terapia. Ogni persona vive una propria esperienza unica e può sviluppare le proprie potenzialità attraverso l’accettazione dei propri limiti interni ed esterni. Ecco che i disturbi psicologici si presentano quando vi è un blocco nell’adattamento dell’individuo. Durante la terapia è necessario conoscere il proprio paziente per cercare di eliminare ciò che lo ostacola. Il paziente diventa quindi parte attiva per potersi riadattare all’ambiente. E come dice Eric Fromm: il compito principale nella vita di un uomo è quello di dare alla luce se stesso trasformandosi in tutto ciò che è in grado di essere. Il risultato di tali sforzi sarà a sua personalità.

Michela, come è stato il suo primo approccio alla psicoterapia e la sua reazione nel rendersi conto di dover “chiedere aiuto”?
Il “chiedere aiuto” non lo ho mai vissuto come un problema, se non fosse che non riuscivo a vedere realmente l’aiuto che Alessandra mi stava offrendo. Infatti inizialmente, come si legge nel libro, il mio approccio è stato dei più sbagliati. Cito All’inizio di questo percorso mi comportavo come una scolaretta che fa i suoi compiti, in attesa di avere gli esercizi giusti dal maestro. Ero davvero convinta che la terapia fosse un insieme di esercizi da attuare, ma ben presto mi accorsi che non funzionava così. Le cose hanno iniziato a migliorare soltanto quando sono riuscita a fidarmi di Alessandra e si è creata una relazione terapeuta-paziente solida e basata sulla fiducia. Ma vi assicuro che mi ci è voluto molto tempo e soprattutto pazienza da parte di Alessandra.

Alessandra Parentela e Michela Longo, “Un viaggio chiamato psicoterapia” (CTL Livorno, 2019)

E quando un medico realizza di non poter essere di aiuto? Cosa accade in questa circostanza?
Alessandra Parentela: Quando un medico realizza di non poter essere di aiuto perché non si è creato, nell’arco dei primi incontri, quel giusto feeling che caratterizza la buona riuscita della terapia, deve essere in grado di delegare ad un altro collega quel paziente perché solo questa grande responsabilità ci permette di essere veramente di aiuto.

Come è nato il progetto del vostro libro Un viaggio chiamato psicoterapia?
Questo libro trae la sua origine dalla relazione profonda ed unica tra terapeuta e paziente. L’idea del libro nasce in modo molto naturale perché rappresenta l’unione perfetta di due intenti complementari: da una parte l’obiettivo di Alessandra di scrivere un libro innovativo sulla psicoterapia, dall’altra il tentativo di una paziente tra le più difficili che lei abbia avuto di comprendere a fondo il percorso psicoterapeutico attraverso la scrittura di dettagliati resoconti di ogni seduta. 

Alessandra Parentela e Michela Longo, “Un viaggio chiamato psicoterapia” (CTL Livorno, 2019)

E un giorno ci siamo dette che avevamo tutti gli ingredienti per poter scrivere un libro insieme. 
Il nostro obiettivo è di voler accostare le persone alla psicoterapia, addentrandole in un vero percorso in cui potersi immedesimare, sminuendo quell’alone di vergogna e mistero che ancora c’è dietro al bisogno di rivolgersi allo psicoterapeuta. Chi va dallo psicoterapeuta ha problemi come li hanno tutti. La differenza con chi non ci va è che chi inizia un percorso terapeutico si mette realmente in gioco e vuole iniziare a risolverli. 
È un libro che parla di esistenza e si interroga sul senso della vita. Il messaggio più forte che vuole dare è come sia nelle relazioni umane che si trova la risoluzione di qualsiasi conflitto, perché è nella condivisione che si trova la felicità.

Da dove nasce il bisogno e la necessità di affrontare sé stessi, di mettere ordine attraverso un percorso di psicoterapia?
Michela Longo: Io posso naturalmente parlare soltanto della mia esperienza e posso dire che l’esigenza di rivolgermi ad uno psicoterapeuta mi è nata in seguito ad una perdita molto sofferta. Come scrivo anche nel libro, mia nonna rappresentava per me un punto di riferimento molto importante e dopo la sua morte, il dolore mi ha fatto perdere la bussola. Mi sono persa e non riuscivo più ad essere la Miki di prima. Ho tenuto nel portafoglio il numero di Alessandra per più di un anno, poi alla fine mi sono decisa, quando sentivo che il mio malessere stava diventando insostenibile. La scelta non è stata mia, in verità. Non conoscendo nessuno nell’ambito della psicoterapia mi sono rivolta al mio medico di base che mi diede questo famigerato numero di telefono. Devo dire che conoscere Alessandra è stato uno degli eventi più fortunati della mia vita.

La psicologa Alessandra Parentela -Autrice di “Un viaggio chiamato psicoterapia” (CTL Livorno, 2019)

Qual è stata la parte più complessa del vostro lavoro sia di psicoterapia sia di scrittura?
Per quanto riguarda la psicoterapia, prima Michela ha parlato della sua fiducia nei miei confronti, il cui raggiungimento è stato sicuramente molto sofferto e lento. Inoltre lei ha avuto molta difficoltà ad accettare le regole che esistono nel setting terapeutico e io, dal canto mio, ho dovuto sempre trovare tecniche e modalità per contenere questa sua intolleranza alle regole che le facevano vivere male la terapia e le impedivano di progredire con essa.
Per quanto riguarda la scrittura, ci verrebbe da rispondere nessuna difficoltà in particolare. Non siamo scrittrici di professione, era la prima volta per entrambe e ci siamo lasciate in un certo senso guidare dalla voglia di scrivere e dal piacere di farlo insieme. Sapevamo di avere molta sintonia e scrivere questo libro è stata solo un’ulteriore conferma di questo.
In ogni caso, scrivere a quattro mani è stata una bella sfida perché l’importante era scrivere la storia del percorso e scriverlo a quattro mani ci ha permesso di confrontarci in continuazione per capire che quello che stavamo buttando giù poteva prendere una sua logica per coinvolgere meglio il lettore addentrandolo in una psicoterapia non pesante ma romanzata e quindi con quella fluidità che potesse permettere a chiunque di identificarsi ed emozionarsi.

Michela Longo – Autrice di “Un viaggio chiamato psicoterapia” (CTL Livorno, 2019)

Quanto è importante il lavoro e l’esercizio della scrittura sia per il paziente sia per lo psicoterapeuta all’interno del percorso, del viaggio all’interno del sé?
Scrivere è terapeutico ed è molto importante farlo lungo il percorso. La scrittura aiuta a prendere consapevolezza dei propri pensieri per rendersi conto che le emozioni ne sono una diretta conseguenza. Se scrivo il pensiero che mi passa per la testa, cambiandolo, invece dell’ansia avrò un’emozione diversa. I pensieri creano quindi emozioni, le emozioni creano comportamenti che rinforzano a loro volta il pensiero. Scrivere obbliga a cercare le parole, a “sentire” come ci si sente, permette di prendersi uno spazio per sé, di riempire un vuoto. Scrivere è importante anche per lo psicoterapeuta perché gli consente di riflettere su ciò che sta emergendo in terapia e fare le giuste associazioni. Il consiglio è di scrivere a mano perché la carta è accogliente come un amico, ed insieme alla penna, i pensieri prenderanno forma.

Alessandra Parentela e Monica Longo con il loro libro “”Un viaggio chiamato psicoterapia” (CTL Livorno, 2019)

In che modo si riesce a instaurare un sano rapporto di fiducia, di supporto tra il medico e il paziente senza superare dei limiti ben precisi e senza far sì che il medico divenga un “amico”?
Come tutte le relazioni umane, la relazione clinica è una relazione basata sulla fiducia poiché il paziente si affida al terapeuta per stare meglio. È una relazione “squilibrata”, dove una parte riceve e l’altra dà. Una relazione che non deve cadere nell’amicizia e che deve mantenersi all’interno dello studio anche se sottende un certo grado di vicinanza. Sta al terapeuta mantenere sempre quella distanza dal paziente che non toglie comunque importanza alla relazione terapeutica, caratterizzata da fiducia ed empatia.

Ancor oggi c’è del pregiudizio verso chi decide di affrontare una psicoterapia. Cosa sentite di poter dire a quelle persone che, per timore del giudizio, rimandano o rifiutano la possibilità di star bene e di raggiungere il proprio equilibrio?
Di cercare di non badare al giudizio altrui quando si tratta della cosa più importante che abbiamo: il benessere della nostra vita. E di provare quindi a pensare alla psicoterapia come un “dono”, ovvero all’opportunità di diventare ciò che si è davvero. Il “viaggio” che ci si regala non sarà per nulla facile, anzi, ma sarà bello, intenso e profondo, e che potrà portare solo risvolti positivi alla vita di chi lo intraprende.

Alessandra Parentela e Monica Longo con il loro libro “”Un viaggio chiamato psicoterapia” (CTL Livorno, 2019)

Dottoressa Parentela, nella prima parte del libro assume una posizione ben precisa sottolineando l’abuso che spesso si fa degli psicofarmaci e della reale possibilità di affrontare determinate problematiche attraverso “metodi alternativi”, meno invasivi e invadenti, se così si può dire. Potrebbe approfondire un poco di più questo particolare aspetto?
Sì nella prima parte del libro cerco di esporre le tecniche che uso in psicoterapia per affrontare le varie difficoltà che ognuno di noi può incontrare lungo il proprio cammino. Infatti la psicoterapia è qualsiasi forma di aiuto e di cura attraverso il rapporto interpersonale. È una relazione che cura, un trattamento non farmacologico dei disturbi psichici. L’obiettivo principale della terapia è “diventa ciò che sei”. Talvolta le persone seguono un copione psicologico che non è il loro. È grazie al percorso che ognuno di noi può riscrivere il proprio copione ed entrare in contatto con la sua vera essenza, per ritrovarsi in ciò che sono e non in ciò che gli altri avrebbero voluto che loro fossero. Importante diventa rinforzare le qualità che le persone già possiedono, concentrandosi su emozioni positive e sulla capacità di rivalutare positivamente i propri vissuti.

“Inside Out” di Pete Docter, 2015

In questo particolare momento storico che stiamo vivendo in cui l’ansia, i disturbi dell’umore, le depressioni sembrano essersi ancor più diffusi quali consigli o suggerimenti sentite di poter dare per far sì che non si arrivi a una totale disconnessione dal sé?
Il periodo storico che stiamo affrontando ci sta mettendo a dura prova perché sta cambiando completamente le nostre abitudini di vita. Però il nostro atteggiamento mentale è un vero e proprio magnete nei confronti della vita. Diventa importante cambiare la percezione degli eventi ed è necessario concentrare l’attenzione solo su ciò che possiamo controllare. Si potrà iniziare a fare cose che prima non avremmo mai fatto perché ci mancava il tempo. Dobbiamo essere in grado di rimodularci formulando obiettivi di vita diversi.

Michela Longo e Alessandra Parentela

Tutto questo quanto viene assorbito dalla nostra mente e quanto indebolisce il nostro fisico?
La scienza ci conferma che le tensioni emotive si riflettono nei problemi del corpo. Stress, frustrazioni, emozioni negative, ansia e depressione, possono essere somatizzate e tradursi in disturbi somatici di varia gravità. L’ansia si esprime con il linguaggio del corpo andando a far nascere le malattie psicosomatiche, ovvero malattie nelle quali ci sono modificazioni organiche o funzionali, che dipendono da problemi psicologici ed emotivi. Il nostro cervello è plastico e si modifica strutturalmente in seguito alle esperienze di vita.

Quando si capisce che il proprio viaggio è giunto a destinazione, che si può procedere con le proprie forze e continuare il proprio cammino in autonomia?

Gioia e Tristezza in “Inside Out” di Pete Docter, 2015

Michela Longo: Un milione di volte ero lì lì per mollare…è che poi sapevo che se avessi realmente mollato non avrei avuto una seconda possibilità, non me la sarei data, per come sono fatta. E pertanto mollare avrebbe significato fallire su tutti i fronti. Mi sentivo in trappola perché mi pareva di stare sempre peggio ma poi ho stretto i denti, in verità ho dato davvero fiducia alla mia compagna di viaggio, e da allora ho iniziato a vedere i frutti del lavoro. Sono grata a me stessa per non aver mollato. Ho anche pensato di non poter più fare a meno della psicoterapia, ma in realtà se essa ha davvero funzionato è proprio perché mi ha insegnato a camminare contando solo sulle mie forze. Ed è quello che è successo perciò la sua conclusione è avvenuta in modo del tutto naturale.

Alessandra Parentela e Michela Longo, “Un viaggio chiamato psicoterapia” (CTL Livorno, 2019)

Dopo questo viaggio chiamato psicoterapia quali progetti vi aspettano?
Abbiamo l’obiettivo di scrivere nuovamente insieme. Non c’è ancora una vera e propria pianificazione del lavoro ma diciamo che le idee non mancano. La nostra sintonia intellettuale non si è ancora minimamente esaurita pertanto ci piacerebbe “usarla” per continuare a fare insieme quelle riflessioni esistenziali che speriamo possano nuovamente emozionare i nostri lettori.
Inoltre possiamo anticipare che Alessandra ha già completato la stesura di un suo nuovo libro che verrà pubblicato a breve.

 

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