La Rubrica online “Piazza Navona” è felice di ospitare ancora una volta il poeta civile Davide Rocco Colacrai e di presentarvi la sua ultima silloge dal titolo D come Davide. Storie di plurali al singolare (Le Mezzelane Casa Editrice). E non perdete il consueto Incontro con l’Autore!
La trama
D come Davide. Storie di plurali al singolare è l’ultima silloge di Davide Rocco Colacrai composta da ventisei componimenti suddivisi in sei parti. Versi che diventano prosa nel racconto di una realtà, di un sogno, di una speranza e di un fermo immagine della Storia che ci vengono restituiti attraverso uno sguardo e un sentire autentici, sinceri. Il poeta, così, rende al singolare le storie plurali che quotidianamente abitano la nostra cronaca, le notizie, l’informazione o che hanno reso unica e importante la nostra Storia. Paolo Borsellino, le vittime dell’Hotel Rigopiano, l’emigrazione, la strage di Ustica, vittime della burocrazia, della sanità e della propria terra spesso matrigna. Questi sono solo alcuni dei temi della poesie di Colacrai presenti in questa raccolta confermando ancora una volta il suo status di poeta civile, declinando la storia e i suoi protagonisti (soprattutto i vinti) al suo essere e alle sue intime emozioni.
Sul libro
Nel febbraio 2023 Le Mezzelane Case Editrice pubblica l’ultima silloge di Davide Rocco Colacrai (la quinta realizzata insieme) dal titolo D come Davide. Storie di plurali al singolare con la prefazione di Mattia Zecca. L’opera è articolata in sei brevi parti, raccoglie ventisei componimenti che confermano ancora una volta l’impegno civile della poetica del Colacrai. I versi accarezzano la prosa e narrano la nostra realtà, i fatti della nostra Storia, il male di vivere che spesso la accompagna ma anche gli eroi che hanno cercato di cambiarla, di migliorarla, di allontanarla da quel puzzo del compromesso morale e dall’indifferenza di cui Paolo Borsellino ha parlato in uno dei suoi celebri discorsi e che ha combattuto fino alla tragica morte. Ed è proprio al Magistrato siciliano ucciso dalla mafia che Colacrai dedica alcuni suoi versi, così come alle vittime di Ustica e quelle dell’Hotel Rigopiano, agli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia nel Campo per profughi di Laterina, ma anche al suo cane e ai suoi genitori, alla sua famiglia. Non è un caso che Colacrai, in totale buona fede e necessità di racconto, accenna a un undicesimo comandamento, ovvero non dimenticare.
Molto probabilmente è proprio qui che va cercato e analizzato il nervo centrale della poesia del nostro Autore, nella memoria e nel ricordo da conservare ma anche da utilizzare come monito, come insegnamento per far sì che ciò che accaduto una volta non venga a ripetersi. Già dal titolo di questa silloge si comprende come l’Autore si metta in prima linea, esponendo il suo nome, la sua unica e precisa identità. Anche per questo le poesie di D come Davide divengono squarci di vita, sguardi, accenni profondi, manifesti di pensiero e di rabbia dedicati a una società – la nostra – di ieri e di oggi, eppure sempre (più o meno) uguale a se stessa. Ancora una volta Colacrai dedica la sua scrittura agli eroi e alle eroine vittime di questa stessa società, tutte quelle persone (anche anonime) che non hanno mai piegato la testa accettando con coraggio e consapevolezza il proprio destino, toccandoci come una carezza di farfalla nella neve.
A rendere ancor più immediate questi versi ci sono i numerosi “interventi” della musica o della letteratura che introducono quasi tutte le poesie: Anna Oxa, Giorgio Faletti, Pier Vittorio Tondelli, Jovanotti, Liguabue, Piero Pelù, Vincenzo Restivo (cui l’Autore ha dedicato questa stessa silloge), Sir John Davis… Colacrai ha riunito attorno a sé un autentico coro di voci che – unanime – canta alla Vita, alla forza, al bisogno di resistere, di non dimenticare e di non tacere perché
Il silenzio è un arcobaleno grigio di cenere
che attraversa senza tempo la pioggia
e con il mare brucia, nel vuoto dell’orizzonte
Incontro con l’Autore
Come nasce l’idea e il progetto editoriale di D come Davide. Storie di plurali al singolare?
Diciamo che il titolo mi ha perseguitato per molto tempo, direi per anni, ma non avevo mai il libro al quale corrispondesse. Come sono solito dire, sono i libri a scegliersi il titolo. Dopo aver raccolto poesie al femminile prima e poesie al maschile dopo, ho deciso di partire dalla mia idea, secondo la quale siamo tutti anime, e per la precisione anime che vibrano, e le definizioni a cui siamo abituati, l’uso appunto di femminile e maschile per classificare, sono delle descrizioni puramente esteriori e apparenti, descrizioni inutili. Così ho voluto raccogliere poesie, o meglio storie, che fossero raccontate dalle persone nella loro essenza di anima, proprio perché su questo piano le differenze, che nel nostro percorso terreste sembrano essere insormontabili e caratterizzano il nostro vivere razionale forgiandolo, non esistono, e non essendo contemplate siamo uniti da un sentire simile.
Nel titolo della sua silloge compare per la prima volta il suo nome. È un chiaro riferimento alla sua persona, alla sua anima poetica o alla volontà di esporsi, di avvicinarsi ancor di più (anche) al suo pubblico di lettori?
Non ho pensato, neanche una volta devo ammettere, mentre ero concentrato sulla fase creativa del libro, al motivo per cui mi piacesse il titolo D come Davide, e al perché l’ho scelto. Sicuramente quando scrivo, o preferisco dire: quando mi presto come strumento per raccontare una storia, il Davide-uomo è come sospeso – ascolta attentamente, affascinato come può essere affascinato un bambino davanti a quanto non conosce. Pertanto penso che questo libro possa essere considerato, per certi versi, come il primo nel quale mi sono ricordato di me stesso, nel senso di fare in modo di raccogliere poesie nelle quali è possibile cogliere dietro a chi racconta un frammento del me che ascolta ed è d’accordo con quanto viene riportato, o forse il mio potermi identificare con un certo verso o con lo spazio tra un verso e l’altro. Di conseguenza mi piace pensare al fatto che mettendo insieme le mie poesie come dei frammenti possa emergere una specie di universo, capace di rappresentare il Davide che, nudo nelle sue molteplicità, si offre – come in una confessione – ai lettori.
Come già accaduto in Della stessa sostanza dei padri e Asintoti e altre storie in grammi i suoi versi hanno una direzione ben precisa e tornano a parlarci di storia, di attualità, di legalità ma anche di ricordi della sua vita. In che modo riesce a trovare il giusto equilibro tra il verso e il mondo circostante?
Proprio oggi riflettevo sul fatto che la poesia la considero una derivazione necessaria – necessaria e inevitabile – delle mie esperienze, e usando questa parola faccio riferimento non solo a quanto ho vissuto in prima persona ma anche a tutto quello che, come uomo in primo luogo, ho sperimentato leggendo un libro, vedendo un film, andando a teatro, ascoltando le persone e così via. Quindi mi lascio guidare in modo naturale – naturale nel senso di intuitivo – dalla necessità di raccontare, che viene indubbiamente filtrata, diciamo così, dai versi per diventare poesia. Si tratta però di un processo non ragionato, non razionale, ma appunto naturale, come se le parole sapessero esattamente qual è la loro disposizione e il loro posto.
Quasi tutte le poesie della sua silloge sono introdotte da versi di poesie o canzoni. In base a quale criterio ha operato tali scelte?
Amo la musica e la letteratura sin da quando ho un ricordo compiuto. E negli anni ho accumulato versi e frasi che mi hanno accompagnato attraverso le stagioni, rafforzando gli istanti positivi e dilatandoli quando possibile, e curandomi nei momenti più difficili evitando che diventassero peggiori. Di conseguenza si tratta di una specie di tatuaggi nel cuore, che al momento giusto si risvegliano e diventano vivi per unirsi ai miei versi. Mi diverto a dire – un po’ come un papà – che li ho sempre lasciati liberi di scegliersi reciprocamente.
Qual è stata la poesia più complessa da tradurre su carta tra quelle che compongono la sua silloge? E perché?
Questa è una domanda singolare, che mi piace molto e a cui non è semplice rispondere. La paura che accomuna tutti gli artisti, se vogliamo essere onesti, è quella di diventare retorici, cioè di non essere in grado di ricordare e riportare in modo adeguato, la paura dell’ovvio. Mi piace raccontare in questo proposito che durante una Cerimonia di Premiazione, mentre premiavano la poesia dedicata a Paolo Borsellino, uno dei giurati ha aperto una parentesi significativa proprio su questo aspetto dell’arte, e ha evidenziato il fatto che con i miei versi ero stato capace di raccontare un fatto storico, un evento della storia contemporanea, in modo originale e comunque veritiero, senza dire cose scontate.
Ancora una volta la sua poesia può essere definita “civile” proprio per l’orientamento che assume. Secondo lei, la poesia quanto può essere di aiuto per rendere la storia (in particolar modo la nostra contemporaneità) più accettabile ma anche più onestamente analizzata e criticata?
Sono stato definito più volte un poeta civile con riferimento alla mia caratteristica di raccontare con i miei versi la Storia. In questo senso mi accompagna la convinzione che la poesia – almeno la mia – possa servire proprio per scoprire momenti o, come direbbe qualcuno, ombre della società – nella quale siamo immersi come pesciolini in un indefinito acquario – di cui per un motivo o per un altro si evita di parlare, o più in generale fatti rispetto ai quali le parole sono pregiudicate da un generale sentimento di tabù. Pertanto il mio impegno con la poesia è semplicemente quello di riportare il fatto così come viene filtrato dai versi, come dicevamo prima, e fare in modo che chi legge sia stimolato a riflettere e ad avere gli strumenti necessari per studiare e per forgiare il suo personale pensiero, e con esso rifiutare il sentito dire, rifiutare il pregiudizio in ogni forma in cui esso si presenta. Il fine ultimo della poesia è un fine d’amore.
Se dovesse descrivere D come Davide. Storie di plurali al singolare con tre aggettivi o con una espressione, quali userebbe?
Come scrivo nella presentazione al libro, D come Davide è un’orchestra attraverso la quale si manifesta il mondo.
Qual il verso o la poesia che avrebbe voluto scrivere? E perché?
Amo molto questo verso:
(Sono) il primo giorno di scuola di un piccolo uomo/ Che ha vergogna a parlare.
Tratto da una canzone di Fabrizio Moro, l’ho citato nella mia poesia Cristo con violino. Questo verso mi ricorda che non si smette mai di essere vulnerabili e fragili, che essere adulti non significa non essere bambini e anzi, che nel nostro vivere giorno per giorno tendiamo instancabilmente verso chi e ciò che ci rassicura, forse nei confronti del mondo, forse della vita, sicuramente verso noi stessi; e spesso è sufficiente un piccolo atto d’amore, anche improvviso, per essere in pace, per ritrovare un equilibrio minimo con tutto quello che ci circonda.
C’è ancora un verso che vorrebbe dedicare a una o più persone di cui ha scritto nella sua silloge? Se sì, quale e a chi?
Ora che ci penso, mi sono dimenticato di dedicare il libro anche a me stesso.
Quali sono i suoi prossimi impegni professionali ed editoriali?
Al momento ho operato una pulizia integrale del mio cassetto dei sogni in modo da potermi dedicare completamente a questa mia nuova creatura. Ogni creatura, dopo tanto lavoro, merita di ri-nascere.