La Rubrica online “Piazza Navona” ha letto per voi Canzoni per il mio utero per Bach e per l’opposto al mio Zenit di Maria Cefalà (Il ramo e la foglia edizioni). Una raccolta poetica che si fa confessione di un aborto. E non perdete l’Incontro con l’Autrice!
La trama

Queste poesie sono le confessioni di un aborto. Questa è la prima frase dell’Intro della raccolta poetica Canzoni per il mio utero per Bach e per l’opposto al mio Zenit di Maria Cefalà. Trentuno componimenti suddivisi in cinque sezioni (Interludio, Padre, Figlio, Spirito Santo (l’opposto al mio Zenit) e Postludio) in cui l’Autrice al suo esordio poetico racconta la sua esperienza più intima priva di qualsiasi filtro, consapevole di sé, della sua scelta e del suo agire. “Libero arbitrio”, ecco le parole chiave di questa lettura di questa raccolta scritta con onestà, coraggio, autodeterminazione e libertà. Perché si ha sempre e comunque il diritto e il dovere di scegliere senza temere il (pre)giudizio altrui.
Sul libro
Dunque, dicevamo, confesso.
Ci ho scritto un libro di poesie, così lo dico ad alta voce.
Confesso l’aborto, confesso l’ateismo, confesso di avere amato l’uomo sbagliato.
Confesso di detestare l’aborto, confesso di avere fede ma solo nella musica di Bach, confesso di odiare.

A maggio 2024 Il ramo e la foglia edizioni pubblica Canzoni per il mio utero per Bach e per l’opposto al mio Zenit l’esordio poetico della musicista Maria Cefalà. È bene chiarirlo sin da subito per evitare spiacevoli (e inutili) fraintendimenti: questa raccolta poetica non è un inno a quel femminismo che negli anni Settanta manifestava al grido di “Tremate, tremate, le streghe son tornate!” Si tratta certamente di un’opera femminile e che manifesta con potenza la libertà di scelta, di libero arbitrio, di vita, di possibilità.

L’Autrice, infatti, racconta in versi la sua intima e privata esperienza di aborto e, sia chiaro anche questo, non merita e non deve essere minimamente giudicata per questo. Ogni scelta ha i suoi affanni, i suoi pensieri, le liste di pro e contro da stilare, profondi rovelli interiori, infinite domande cui trovare risposta, la necessità di essere onesti con sé stessi. Maria Cefalà ha tenuto conto di tutto questo prima di arrivare alla sua scelta, alla sua decisione. E ci racconta tutto questo attraverso trentuno componimenti mediante i quali traspaiono la sua onestà intellettuale, la difficoltà del momento, tutti i pensieri che una donna sente scorrere dentro e fuori di sé prima di arrivare a una soluzione senza ritorno. Ma anche dopo, quando tutto ormai si è concluso tra un pieno e un vuoto che non può più essere. Maria Cefalà con questa sua breve raccolta poetica (ri)accende i riflettori su un argomento e una tematica per i quali in particolar modo le nostre madri, le nostre zie, le nostre nonne hanno lottato scendendo in piazza, votando alle urne, esprimendo le loro idee e i loro ideali in piazza e nelle sedi opportune. Oggi si ha la possibilità di scegliere. Ma ciò non vuol dire che venga fatto a cuor leggero. Ciò non vuol dire che tali scelte siano prese con superficialità senza pensare a possibili e probabili conseguenze. Oggi si può scegliere ma questa stessa società che ci permette di farlo spesso tratta le sue figlie (è proprio il caso di dirlo) come delle irresponsabili, incoscienti se non – nei casi più estremi – come delle criminali e assassine innestando tutta una fitta rete di ipocrisia e contraddizioni.

Maria Cefalà ha scelto. Libera, consapevole, cosciente, responsabile. Il giudizio non appartiene a noi. La felicità, la serenità così come la rovina della vita altrui non è affare di nessuno se non di chi quella vita la vive o la subisce. Non è una legge di Natura che si debba essere madre. Si può scegliere. Si può. In alcuni casi si deve. Ogni caso è a sé. Ma si può scegliere. E il cuore di questa raccolta poetica così potente, vera, chiara, priva di giri di parole ma carica di forza, energia, di volontà di (auto)affermazione di sé è tutta qui. È stata coraggiosa Maria Cefalà. È stata onesta. È stata libera. Ci vuole forza e coraggio per esserlo in questo modo e per scrivere così intimamente, onestamente, efficacemente la propria esperienza. Si può scegliere. E la parola “aborto” – ormai compressa nella sigla IVG – deve smettere di fare paura o, peggio, pena a chi la ascolta. Non deve essere un giudizio. È una scelta. Si può scegliere…
Io, però, una cosa ve la dico: Bach non mi ha giudicata.
Lo farete voi?
Incontro con l’Autrice

Come è avvenuto il suo primo incontro con la scrittura?
Ho iniziato a scrivere regolarmente a sei anni, principalmente per me stessa, e non ho più smesso. Leggevo, ascoltavo musica, scrivevo e suonavo – il tutto piuttosto precocemente. Scrivere in prosa o poesia chiarisce le idee ed è un grande aiuto per le persone introverse. Lo stesso è valso per il pianoforte. Spesso unisco le due cose: ho interi quaderni in cui sono annotate evoluzioni ed involuzioni pianistiche e personali, che quasi sempre coincidono; rileggendoli con calma recupero i fili della mia interiorità. È uno specchio che mi è necessario.

Come è nato il progetto editoriale di Canzoni per il mio utero?
Dall’esigenza viscerale di mettere nero su bianco quello che stavo vivendo, un caos nel quale non riuscivo a mettere ordine, a darmi pace. Dopo l’aborto ero molto provata fisicamente e facevo fatica a suonare, quindi la scrittura poetica era la via più diretta per una catarsi necessaria. Solo dopo aver scritto per me stessa, come sempre, mi sono accorta che queste poesie potevano forse avere una valenza più ampia, e ho pensato di pubblicarle; ho trovato accoglienza ne Il ramo e la foglia edizioni, una casa editrice che conoscevo e stimo. Così abbiamo deciso di imbarcarci in questa avventura.
Ancor oggi, purtroppo, non è mai semplice parlare di aborto. Secondo lei, in che modo le menti potrebbero smettere di pensare a questo argomento, a questo tema come fosse un tabù?
I tabù sono impliciti e in qualche modo necessari a qualunque società: danno certezze e confini. In particolare, per una società cattolica e patriarcale come la nostra, tutto quello che riguarda la sessualità e la sfera femminile sono di difficile ricezione. È normale. Le evoluzioni culturali e sociali sono lentissime, richiedono tempo, perseveranza. Bisogna continuare a parlare di questi temi senza spazientirsi, e possibilmente senza rabbia: solo attraverso il dialogo aperto si approda – lentamente – a nuove forme di coscienza collettiva. Sarebbe bello che il tabù vero diventasse la violenza, che ad oggi non è affatto un tabù ma è anzi incoraggiata: sarebbe auspicabile orientare il faro su tematiche più impellenti. È necessario continuare a lavorare in questa direzione.

Qual è stato il verso o la parola, l’emozione più complessa da riversare su carta?
Non è stato complesso, la stesura è fluita naturalmente, anche nei punti più dolenti. Non ho avuto intoppi interiori o reticenze. La parte più complessa è stata, forse, permettermi di pubblicare parole relative al vissuto personale e traumatico, di guerra, del mio ex compagno. Con la pubblicazione c’è stata l’esposizione di una sua vicenda personale per la quale ho un certo rispetto: esporre l’altro senza consenso è un atto di grande violenza. Certo, è l’uomo che mi ha abbandonata mentre ero incinta di lui, dunque si potrebbe pensare che fosse lecita qualunque cosa. Per me non è così: non l’ho fatto con rancore, ho avuto dubbi, ma ha infine prevalso il mio sentire, ovvero la necessità di consegnare una visione integra del mio vissuto, che comprendeva anche i suoi lati personali e oscuri. La violenza genera violenza, questo è il messaggio.

Qual è stato il suo rapporto con il foglio bianco durante la stesura della sua opera e l’elaborazione del suo vissuto?
Il foglio bianco è sempre un amico, così come uno spartito mai eseguito prima. Ti invita a scoprirti, ti incoraggia a rinnovarti. Non lo trovo paralizzante, ma al contrario accogliente. È come se il foglio dicesse: “Eccomi, cosa vuoi dire? a me puoi confessarlo”. Così è stato. Ho consumato interi quaderni senza alcun timore del famigerato foglio bianco.
Quale vuole essere il messaggio dei suoi versi e del suo libro?
Questo scritto consegna una vicenda personale, ma assume tratti che possono essere – senza pretesa alcuna – universali. L’accettazione delle contraddizioni: nello scritto c’è grande odio ma anche grande amore per me stessa. La visione salvifica dell’arte, in un momento storico nel quale la spiritualità ha perso il suo ruolo: l’arte può essere la nostra spiritualità, un rifugio per l’anima. Quando si ascolta Bach ci si sente piccoli, accolti, a casa. Questo è molto importante. E ancora: il rifiuto della violenza in ogni suo aspetto, perché la guerra genera guerre interiori che si riversano su altri, come è successo tra me e il mio ex compagno. Infine: abortire è lecito. Doloroso, non da prendersi alla leggera, ma lecito.

Cosa vorrebbe dire a tutte quelle donne che hanno vissuto la sua stessa esperienza o pensano, meditano e hanno timore di prendere la decisione più giusta?
La decisione giusta la conosci solo tu, e nessuna decisione è giusta, sbagliata, o giudicabile, mai. Di conseguenza, non sei sbagliata tu. Anche l’egoismo non è sbagliato, nulla di tutto ciò è condannabile. Qualunque decisione tu abbia preso o prenderai, andrà bene. Stai tranquilla. Questo direi loro.
Lei è pianista di fama internazionale, tra note e parole in quale ambito sente di essere più a suo agio? E perché?
Definirei la fama in altro modo, a me è stata riconosciuta la fatica e l’onestà del mio lavoro, ma la fama è altra cosa. Premesso questo, il mio ambiente naturale resta in primis la musica. Mi piace scrivere e continuerò a farlo, ma è la mia visione musicale che mi permette di vivere, scrivere, interagire col mondo. È anche un ambito più protetto, perché al riparo dalla verbalizzazione esplicita: è quindi più adatto, secondo la mia visione, ad una persona ipersensibile come me. Ed è, sicuramente, la cosa che so fare meglio.

Nel 2018 nasce il suo progetto “Discovering Bach”, vuole raccontarci qualcosa di più in merito?
“Discovering Bach” nasce e sta proseguendo come progetto pianistico e divulgativo, per portare la musica del Kantor di Lipsia a quanta più gente possibile attraverso una lettura empatica, comprensibile. Nei miei concerti parlo e suono: è importante dare chiavi di lettura, e se si ha sufficiente empatia, si riesce a contagiare il pubblico. Cambio linguaggio o tematica a seconda dell’uditorio: bambini, carcerati, adulti. Per ciascuno viene pensato un progetto diverso in modo da colpire nel profondo. Questa è la mia piccola missione. È poi diventato il nome di un disco, che è andato molto bene, e questo è stato per me il riconoscimento più bello.

Quali sono i suoi prossimi impegni professionali ed editoriali?
Se posso dire la verità, mi fa sempre sorridere questa domanda, che arriva – puntuale. Siamo eternamente proiettati al “dopo”: io ora cerco di concentrarmi sul presente, è fondamentale in un mondo frenetico. Il mio impegno al momento è capire come dare il mio contributo alla società senza rimpinzarla di materiale non necessario. Proseguiranno i concerti e ho in progetto un nuovo libro, ma la cosa che mi sta più a cuore ora è tornare in sala di incisione: fare musica, metterla su disco, e richiedere l’attenzione e il silenzio dell’ascolto è, forse, ciò che oggi è più necessario.